Dal vinaiolo etrusco Arunte fino ai fasti di Francesco Redi e della Corte Medici
Varie, e per certi versi bizzarre, sono le leggende giunte a noi, anche attraverso la tradizione orale, sull’origine della città di Montepulciano. Di sicuro sappiamo che la città è di origine etrusca, elemento comprovato dal ritrovamento di numerosi reperti archeologici nell’area della Fortezza medicea e intorno a piazza Grande.
Non meno curiose sono inoltre le leggende relative alla nascita del Vino Nobile di Montepulciano, che attribuirebbero al vino delle colline poliziane un ruolo nel conflitto tra Roma e i suoi acerrimi avversari calati da oltralpe.
Tito Livio, storico romano che offre un ampio resoconto di questo periodo storico nella sua monumentale opera "Storie" (V,33), riferisce che i Galli calarono in Italia attraversando le Alpi attratti proprio dal vino di queste colline che, un etrusco vinaio di Chiusi, tale Arunte, aveva fatto assaggiare loro per convincerli a raggiungere Chiusi e così permettere ad Arunte di vendicarsi del patrizio etrusco Locumone, reo di avere sedotto sua moglie.
Scrive Tito Livio V, 33: “Vuole la tradizione che questo popolo, attratto dalla dolcezza dei prodotti e soprattutto del vino, che a quel tempo costituiva per loro un nuovo piacere, abbia attraversato le Alpi e si sia impadronito delle terre precedentemente abitate dagli Etruschi; chi poi avrebbe mandato il vino in Gallia sarebbe stato un tale Arrunte di Chiusi spinto dall'odio per Lucumone che gli aveva sedotto la moglie...”
Prosegue Tito Livio, V, 35 "Gli abitanti di Chiusi mandarono ambasciatori a Roma per chiedere aiuto al Senato. Quanto ad aiuto non ottennero nulla; furono invece mandati in qualità di legati tre figli di Marco Fabio Ambusto, i quali, in nome del popolo romano, ammonissero i Galli di astenersi da atti di ostilità contro alleati e amici del popolo romano che non li avevano in nessun modo provocati.”
Dunque nel 390 a.C. approfittando dell'indebolimento degli etruschi, la tribù dei senoni, al seguito del suo comandante Brenno, decise di spingersi a sud, alla ricerca di nuovi territori, ma soprattutto di nuovi bottini. Giunsero a Chiusi e la posero sotto assedio. Gli abitanti della città chiesero aiuto a Roma, circostanza peraltro piuttosto singolare considerando quanto fossero difficili i rapporti tra le due città. Una delegazione di Romani andò dunque a parlamentare con i Galli, ma la trattativa non ebbe un buon esito.
In tale occasione, l'ambasciatore Quinto Fabio, evidentemente arrivato a Chiusi con intenti bellicosi, trucidò un capo dei Celti. L'affronto generò la collera e la reazione dei Galli i quali, comandati da Brenno, decisero di marciare su Roma per ottenere giustizia. Racconta lo stesso Livio che l'Urbe fu inondata dal panico all’arrivo di truppe sconosciute per modalità d’attacco, abbigliamento e costumi.
Ma per tornare alla storia reale, affidabile sotto il profilo documentale, l’atto più antico riferibile al vino prodotto a Montepulciano è del 789: il chierico Arnipert offre alla chiesa di San Silvestro a Lanciniano, sull'Amiata, un pezzo di terra coltivata a vigna posta nel castello di Policiano. In seguito Emanuele Repetti nel suo "Dizionario storico e geografico della Toscana" cita un documento risalente al 1350 nel quale si stabiliscono le clausole per il commercio e l'esportazione del vino di Montepulciano.
È inoltre documentato che già nell’alto medioevo i vigneti di Mons Pulitianus producevano vini eccellenti, e alla metà del XVI secolo Sante Lancerio, cantiniere di papa Paolo III Farnese, celebrava il vino di Montepulciano esprimendosi così:
“perfettissimo tanto il verno quanto la state odorifero, polputo, non agrestino, né carico di colore, sicchè è vino da Signori”.
Ma è il XVII secolo che consacra definitivamente il vino Nobile di Montepulciano grazie alla figura di Francesco Redi, insigne medico, naturalista, letterato e poeta alla corte dei Medici, il quale esalta nel suo "Bacco in Toscana" (1685) il vino della città poliziana.
Redi, fine conoscitore di lingue e dialetti, fece parte tra l’altro anche dell’Accademia della Crusca. Di tutte le sue opere poetiche la più celebre è, appunto, “Bacco in Toscana”, capolavoro della letteratura d’evasione, di grande successo in tutta Europa. Il testo, famoso in special modo per la descrizione dell’ebbrezza di Bacco immaginato a passare in rassegna i vini toscani, offre un’interessante panoramica sull’enologia del tempo. Il “Bacco in Toscana” di Francesco Redi si sviluppa in ben 980 versi che vanno dall'elogio del vino toscano fino a una requisitoria contro caffè, tè, birra, sidro e i diversi prodotti non italiani derivati dalla distillazione alcolica.
Nell’opera, Redi passa dunque in rassegna ben cinquecento vini e, pur mostrando sincero apprezzamento per molti dei migliori nettari della Toscana, al termine della rassegna lo stesso Bacco, rivolto alla diletta Arianna, emette la propria irrevocabile sentenza:
"Bella Arianna con bianca mano
versa la manna di Montepulciano:
colmane il tonfano, e porgilo a me.
Questo liquore, che sdrucciola al core
o come l'ugula e baciami e mordermi!
O come in lacrime gli occhi
disciogliemi!
Me ne strasecolo, me ne strabilio,
e fatto estatico vo in visibilio.
Onde ognun, che di Lieo
riverente il nome adora,
ascolti questo altissimo decreto
che Bassareo pronuncia, e gli dia fé:
Montepulciano d'ogni vino è il re”.